Dal libro “Architettura
e modernità”
18. “Dal Basso. Continuità e
tessuti urbani.”
Nonostante le proposte della macrostruttura, alcuni
architetti si interrogano su questioni che riguardano concretamente il modo di
vivere delle persone, il loro rapporto con l’ambiente circostante già
esistente, il significato sociale del
concetto di densità, le conseguenze dello sviluppo in altezza dei fabbricati,
la perdita del concetto di piazza e di strada. Spesso all’interno di uno stesso
circolo culturale coesistono posizioni diverse che tentano di individuare
soluzioni attraverso prassi empiriche rifiutando le metodologie classiche verso
qualsiasi sistema dottrinario ed ideologico. Un esempio si può trovare nel team
X che ha in Peter e Alison Smithson le anime organizzative, sostenitori di
indagini concrete, caso su caso; anche direttamente sui futuri fruitori
dell’architettura.
<< L’architettura non offre semplicemente “lo sfondo”
per le relazioni esistenti, ma le può creare. È una forza attiva della vita
stessa. Non è più sufficiente “fare degli edifici”, dobbiamo crearli in modo
tale che diano significato allo spazio attorno ad essi nel contesto dell’intera
comunità. (Smithson, 1982) >>
Si incomincia ad affermare in questi primi anni sessanta
un’adesione alla corrente filosofica dello Strutturalismo che riconosce sempre
una dialettica tra sistemi e variazioni. Questa dialettica regola-variazione è una
caratteristica comune nel Team X che trova in ciascuno di essi una sua
declinazione. Ad esempio in Aldo Van
Eyck con una ricerca verso forme primarie a cui applicare sviluppi cellulari in
progetti che hanno spesso il gioco come orizzonte di riferimento; in Giancarlo
de Carlo con un’aderenza alla componente
storica dei sito; in Coderch con equilibri modulati che si traducono nei ritmi
delle sue facciate. In questo contesto sorgono anche nuove ipotesi di indagine
sulla città. Molti studiosi ed autori di libri noti affrontano il tema, come
Kevin Lynch, Jane Jacobs, John Zeisel, Christopher Alexander, Rudofsky. Nascono
in questo contesto di idee nuove parole: tessuto, low rise-high density, pacchetti
edilizi, case sovrapposte.
Il tessuto
Nel corso degli anni sessanta in Europa e negli Stati Uniti
si va affermando un modo di progettare ed operare in opposizione al modello di
case alte isolate, immerse nel verde (tower of park). La nuova formula è quella
del low rise-high density che opta per un sistema compatto e continuo di
edificazione, con fabbricati di tre massimo quattro piani. Piuttosto che i
grandi spazi pubblici, si preferiscono spazi privati a terra e una serie di
spazi che all’interno e all’esterno del complesso formano strade, piazze,
entrate, punti di sosta, valorizzandone il complesso. La parola chiave diventa
il “tessuto”; è un ribaltamento del processo “dall’alto” delle macrostrutture,
qui si procede “dal basso”. Il terreno non è più un vassoio su cui poggiare del
volumi ma diventa mappa modulata, parte integrante del progetto. I progetti
risultano governati da una griglia che crea un continuum di relazione tra i
vari ambiti, che mette in atto i nuovi concetti sociologici delle relazioni
interpersonali, ma che guarda anche alla città storica, dei piccoli
camminamenti, delle improvvise sorprese, richiamando atmosfere antiche con
mezzi nuovi e standard moderni. Tre sono i progetti emblematici in
questo campo.
Halen Svizzera Atelier 5
Appena fuori Berna filari paralleli di case basse si
innestano nelle diverse quote del pendio di una collina boschiva. Il complesso
è dotato di servizi, di case lunghe e strette a tre piani, di atelier e di
articolati spazi all’aperto. È un “ribaltamento in orizzontale” dell’unità di
abitazione di Le Corbusier. Il verde crea soglie di privacy tra la sfera
collettiva e quella privata, con patii interni, terrazze aggettanti, tetti
giardino. Lo spazio collettivo ritorna ad essere in grande prevalenza
lastricato, i blocchi sono disposti “a tessuto” e determinano una piazzetta centrale
e un sistema di strade che si connettono al corso principale. Halen è anche un
laboratorio di studio sull’alloggio con una ricerca funzionale approfondita,
anche all’acustica, alla ricerca di luce zenitale e altri aspetti e dettagli.
Quanto viene proposto trova conferma e rilancio ancora più forte nell’opera di
Louis Sauer nell’operazione di recupero urbano del quartiere più antico di
Filadelfia: Society Hill. È un’idea controcorrente, l’idea stessa della città
macchina comincia ad essere sostituita da progetti che sono dentro la città
costruita.
Society Hill. Case basse nella città costruita
Il recupero del quartiere nasce da un compromesso tra
il rispetto della tradizione e le esigenze dell’evoluzione storica. Bacon
propone il coinvolgimento attivo del quartiere nella vita della città
attraverso il recupero finalizzato ad alcuni manufatti storici e la
contemporanea edificazione di nuove strutture che seguono maglia stradale e
morfologia di quelli esistenti. La strategia del low rise-high density diventa
fondamentale perché da un lato mantiene la struttura urbana preesistente,
dall’altro incrementa la densità fondiaria. Louis Sauer diventa il più abile
interprete di questa strategia. Progetta per Society Hill quattordici
interventi e ne realizza dieci, di cui il più importante occupa un intero isolato: Penn’s Landing Square. Su
un’area di 9.300 mq si insediano, con edifici non superiori ai quattro piani,
più di 450 abitanti con una densità superiore al 460 abitanti per ettaro; con
abitazioni con circa 35 mq di superficie utile ad abitante. Il progetto si
fonda sulla continuità esterno-interno, sulla difesa spaziale degli spazi
interni pedonali e collettivi, su un’articolazione diversa dei quattro fronti
per aderire alla scale di fruizione su cui insistono, sull’inserimento di
parcheggi sotterranei; ma lo strumento fondamentale è l’invenzione di un
“pacchetto abitativo”. Ogni pacchetto contiene alloggi aggregati sia
verticalmente che orizzontalmente, a un singolo piano, duplex o triplex, con scale di accesso autonomo.
L’organizzazione a “L” guida sia le combinazioni planimetriche, sia le piante
degli alloggi permettendo così di incastrarsi gli uni sugli altri. Il progetto invece di essere basato sul
tipico approccio funzionalista che vede
una cellula tipo aggregata a formare un
edificio modello, si basa su una triade formata da cellula-pacchetto
abitativo-edificio continuamente adattabili e variabili secondo le esigenze e
le caratteristiche degli spazi. Qui le finalità “funzionali” da obiettivi
tassativi diventano requisiti inseriti in una complessa rete di dare-avere. Se
Atelier 5 guarda Le Corbusier, e Sauer sembra guardare implicitamente Wrhight,
Ralph Erskine fa la sua tradizione aperta, flessibile e informale
dell’empirismo scandinavo soprattutto nel suo intervento chiave di Clare Hall.
Clare Hall Cambridge
È un college “post-graduate” e comprende numerosi servizi
collettivi e venti alloggi di vario tipo. Il progetto crea una serie di soglie
articolate spazialmente, distributivamente e formalmente tra la sfera pubblica
dell’intorno, quella collettiva del complesso, quella semicollettiva che ne
definisce dei sottoambiti e quella semiprivata di filtro con gli spazi interni
a ciascuna unità abitativa. Il progettista si adegua alla maglia viaria e
colloca ortogonalmente alla griglia stradale le tre parti che costituiscono il
college. L’idea guida è di creare continuità tra gli spazi, determinando così
un “tessuto” che si rifà ai borghi medievali. Riprende e trasforma l’idea di
corte, rendendola familiare, piccola e informale. Appende e aggiunge strutture dinamiche e leggere ai corpi in
muratura: ai piani superiori piccole terrazze e ai piani alla quota del terreno
allunga piccoli giardini recintati. Erskine sviluppa non solo un approccio
morfologico, per tessuto, ma anche un approccio “per forma”.
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