lunedì 7 maggio 2012

"Architettura e Modernità"

Dal libro “Architettura e modernità”

18. “Dal Basso. Continuità e tessuti urbani.”


Nonostante le proposte della macrostruttura, alcuni architetti si interrogano su questioni che riguardano concretamente il modo di vivere delle persone, il loro rapporto con l’ambiente circostante già esistente, il  significato sociale del concetto di densità, le conseguenze dello sviluppo in altezza dei fabbricati, la perdita del concetto di piazza e di strada. Spesso all’interno di uno stesso circolo culturale coesistono posizioni diverse che tentano di individuare soluzioni attraverso prassi empiriche rifiutando le metodologie classiche verso qualsiasi sistema dottrinario ed ideologico. Un esempio si può trovare nel team X che ha in Peter e Alison Smithson le anime organizzative, sostenitori di indagini concrete, caso su caso; anche direttamente sui futuri fruitori dell’architettura.
<< L’architettura non offre semplicemente “lo sfondo” per le relazioni esistenti, ma le può creare. È una forza attiva della vita stessa. Non è più sufficiente “fare degli edifici”, dobbiamo crearli in modo tale che diano significato allo spazio attorno ad essi nel contesto dell’intera comunità. (Smithson, 1982) >>
Si incomincia ad affermare in questi primi anni sessanta un’adesione alla corrente filosofica dello Strutturalismo che riconosce sempre una dialettica tra sistemi e variazioni.  Questa dialettica regola-variazione è una caratteristica comune nel Team X che trova in ciascuno di essi una sua declinazione. Ad esempio  in Aldo Van Eyck con una ricerca verso forme primarie a cui applicare sviluppi cellulari in progetti che hanno spesso il gioco come orizzonte di riferimento; in Giancarlo de Carlo  con un’aderenza alla componente storica dei sito; in Coderch con equilibri modulati che si traducono nei ritmi delle sue facciate. In questo contesto sorgono anche nuove ipotesi di indagine sulla città. Molti studiosi ed autori di libri noti affrontano il tema, come Kevin Lynch, Jane Jacobs, John Zeisel, Christopher Alexander, Rudofsky. Nascono in questo contesto di idee nuove parole: tessuto, low rise-high density, pacchetti edilizi, case sovrapposte.

Il tessuto

Nel corso degli anni sessanta in Europa e negli Stati Uniti si va affermando un modo di progettare ed operare in opposizione al modello di case alte isolate, immerse nel verde (tower of park). La nuova formula è quella del low rise-high density che opta per un sistema compatto e continuo di edificazione, con fabbricati di tre massimo quattro piani. Piuttosto che i grandi spazi pubblici, si preferiscono spazi privati a terra e una serie di spazi che all’interno e all’esterno del complesso formano strade, piazze, entrate, punti di sosta, valorizzandone il complesso. La parola chiave diventa il “tessuto”; è un ribaltamento del processo “dall’alto” delle macrostrutture, qui si procede “dal basso”. Il terreno non è più un vassoio su cui poggiare del volumi ma diventa mappa modulata, parte integrante del progetto. I progetti risultano governati da una griglia che crea un continuum di relazione tra i vari ambiti, che mette in atto i nuovi concetti sociologici delle relazioni interpersonali, ma che guarda anche alla città storica, dei piccoli camminamenti, delle improvvise sorprese, richiamando atmosfere antiche con mezzi nuovi e standard moderni. Tre sono i progetti emblematici in questo campo.

Halen Svizzera Atelier 5

Appena fuori Berna filari paralleli di case basse si innestano nelle diverse quote del pendio di una collina boschiva. Il complesso è dotato di servizi, di case lunghe e strette a tre piani, di atelier e di articolati spazi all’aperto. È un “ribaltamento in orizzontale” dell’unità di abitazione di Le Corbusier. Il verde crea soglie di privacy tra la sfera collettiva e quella privata, con patii interni, terrazze aggettanti, tetti giardino. Lo spazio collettivo ritorna ad essere in grande prevalenza lastricato, i blocchi sono disposti “a tessuto” e determinano una piazzetta centrale e un sistema di strade che si connettono al corso principale. Halen è anche un laboratorio di studio sull’alloggio con una ricerca funzionale approfondita, anche all’acustica, alla ricerca di luce zenitale e altri aspetti e dettagli. Quanto viene proposto trova conferma e rilancio ancora più forte nell’opera di Louis Sauer nell’operazione di recupero urbano del quartiere più antico di Filadelfia: Society Hill. È un’idea controcorrente, l’idea stessa della città macchina comincia ad essere sostituita da progetti che sono dentro la città costruita.

Society Hill. Case basse nella città costruita

Il recupero del quartiere nasce da un compromesso tra il rispetto della tradizione e le esigenze dell’evoluzione storica. Bacon propone il coinvolgimento attivo del quartiere nella vita della città attraverso il recupero finalizzato ad alcuni manufatti storici e la contemporanea edificazione di nuove strutture che seguono maglia stradale e morfologia di quelli esistenti. La strategia del low rise-high density diventa fondamentale perché da un lato mantiene la struttura urbana preesistente, dall’altro incrementa la densità fondiaria. Louis Sauer diventa il più abile interprete di questa strategia. Progetta per Society Hill quattordici interventi e ne realizza dieci, di cui il più importante occupa un  intero isolato: Penn’s Landing Square. Su un’area di 9.300 mq si insediano, con edifici non superiori ai quattro piani, più di 450 abitanti con una densità superiore al 460 abitanti per ettaro; con abitazioni con circa 35 mq di superficie utile ad abitante. Il progetto si fonda sulla continuità esterno-interno, sulla difesa spaziale degli spazi interni pedonali e collettivi, su un’articolazione diversa dei quattro fronti per aderire alla scale di fruizione su cui insistono, sull’inserimento di parcheggi sotterranei; ma lo strumento fondamentale è l’invenzione di un “pacchetto abitativo”. Ogni pacchetto contiene alloggi aggregati sia verticalmente che orizzontalmente, a un singolo piano, duplex o triplex,  con scale di accesso autonomo. L’organizzazione a “L” guida sia le combinazioni planimetriche, sia le piante degli alloggi permettendo così di incastrarsi gli uni sugli altri.  Il progetto invece di essere basato sul tipico  approccio funzionalista che vede una cellula tipo aggregata  a formare un edificio modello, si basa su una triade formata da cellula-pacchetto abitativo-edificio continuamente adattabili e variabili secondo le esigenze e le caratteristiche degli spazi. Qui le finalità “funzionali” da obiettivi tassativi diventano requisiti inseriti in una complessa rete di dare-avere. Se Atelier 5 guarda Le Corbusier, e Sauer sembra guardare implicitamente Wrhight, Ralph Erskine fa la sua tradizione aperta, flessibile e informale dell’empirismo scandinavo soprattutto nel suo intervento chiave di Clare Hall.

Clare Hall Cambridge

È un college “post-graduate” e comprende numerosi servizi collettivi e venti alloggi di vario tipo. Il progetto crea una serie di soglie articolate spazialmente, distributivamente e formalmente tra la sfera pubblica dell’intorno, quella collettiva del complesso, quella semicollettiva che ne definisce dei sottoambiti e quella semiprivata di filtro con gli spazi interni a ciascuna unità abitativa. Il progettista si adegua alla maglia viaria e colloca ortogonalmente alla griglia stradale le tre parti che costituiscono il college. L’idea guida è di creare continuità tra gli spazi, determinando così un “tessuto” che si rifà ai borghi medievali. Riprende e trasforma l’idea di corte, rendendola familiare, piccola e informale. Appende e aggiunge  strutture dinamiche e leggere ai corpi in muratura: ai piani superiori piccole terrazze e ai piani alla quota del terreno allunga piccoli giardini recintati. Erskine sviluppa non solo un approccio morfologico, per tessuto, ma anche un approccio “per forma”.

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